L’eco di ambrosia #1

Articolo di Feldia Loperfido

Con questo articolo, nasce la rubrica “L’eco di ambrosia”. Nel mito greco, la ninfa Eco era perdutamente innamorata del giovane Narciso, che, preso dalla propria bellezza, la rifiutò. Eco prese così a non mangiare più, si consumò d’amore e finì per rimanere soltanto un sussulto; appunto, un’eco. L’ambrosia, invece, era il cibo degli dei, che dava loro immortalità. Una lettura botanica più scientifica, però, ci suggerisce che l’ambrosia è una pianta particolarmente resistente e così diffusa da passare spesso per inosservata. A cosa si dedicherà, dunque, questa nuova rubrica del CPDCA? Proveremo a dare eco ad emozioni, vissuti, significati associati ai disturbi alimentari. Daremo voce a quelle parti di sé, a volte inosservate e a volte vissute come infestanti, per valorizzarne, invece, gli aspetti più robusti. Come? Individueremo, di articolo in articolo, degli oggetti che ci sembrano particolarmente rappresentativi per le persone con i più svariati disturbi di questo tipo. Quanti e quali sono gli oggetti attraverso i quali si esprimono i disturbi del comportamento alimentare?

Che siano la bilancia, il frigo, il pacco di fette biscottate e così via, ci sono oggetti che, nella loro materialità, diventano catalizzatori di vissuti emotivi, episodi, significati. Proveremo, dunque, a far parlare questi oggetti, non tanto per dare voce all’oggetto in sé, ma per usare l’oggetto come espediente per dare parola ai vissuti di ciascuno. Come primo articolo, L’eco di ambrosia ha scelto di guardare il mondo con gli occhi della bilancia, oggetto simbolo della lotta contro il peso, ma anche dei processi, del giudizio, dei tribunali. Simbolo, in altre parole, della sofferenza che si prova nei confronti del proprio corpo e della costante sensazione di sentirsi giudicati dagli altri, mai all’altezza della situazione. Sarà bello, per i prossimi articoli, trarre ispirazione dai vostri commenti! Dunque, buona lettura e… qual è l’oggetto per te più rappresentativo? Quali sono le emozioni ed i vissuti che sperimenti maggiormente con quell’oggetto?

Hey, tu, ti vedo, lì, indecisa. Mi guardi, ti guardo. Sto qui, aspetto. E tu? Stai attenta! Ti stanno osservando, stanno contando tutte le volte in cui vieni a farmi visita! Guardo te – fanciulla con lo sguardo perso nel vuoto – e guardo anche te – donna matura che combatti contro il tuo peso ed il tuo corpo. E non ho dimenticato te, amico che ti affacci alla vita con un primo cenno di barbetta e tanta voglia di apparire come un fuscello! E tu? Alle soglie della tua mezza età, quanto conforto hai trovato quando, dopo esserti divorata quel pacco di biscotti di nascosto da tutti, sei venuta a rifugiarti su di me? E tu? Cosa ci vedi nel mio di piatto?

Sai? La mia mamma, la mia nonna, la mia bisnonna e le mie antenate prima di loro mi hanno lasciato un’eredità: “A bracci uguali, a piatti vuoti, siamo in equilibrio a giogo orizzontale”. Si sa. Io vi ho visti. Ho visto ciascuno di voi quando, riposta con le mie sorelle sullo scaffale di quel negozio, ci osservavate per sceglierci al meglio. Dovevamo essere precise e discrete, quasi inesistenti. 80-40-115-36-90-51… quale sarà il mio verdetto di questa pesata? Le mie antenate bilance si divertivano ad ondeggiare tra i bracci; oggi, io e le mie simili non facciamo altro che accendere un led e far comparire un numero. Ma sai – dolce ragazza, donna matura, fresco adolescente, donna di mezza età – cosa ho imparato dalla mia vita? Che resta sempre una questione di giogo, di pesi. No, non il peso del tuo corpo, ma di un altro peso che tu porti. Parlo di tutte le volte in cui controlli che non ci sia nessuno in casa, delle volte in cui entri nel bagno e mi guardi con paura; delle volte in cui te ne vai con vergogna a riprogrammare il tuo piano alimentare; di quando fai avanti e dietro tra me ed il vaso, stravolta dal disgusto; di quando mi implori pietà, divorato dai sensi di colpa. Ho imparato che a “piatti vuoti”, come dicevano le prime bilance della storia, a volte sembra tutto più in equilibrio. Ma ho imparato anche che, quando sento i tuoi passi, non aspetto di pesare la paura, l’ansia, la vergogna, l’orgoglio, il disgusto, la colpa. Ho imparato che, prima ed oltre quelle emozioni, c’è il dolore di chi vuole sentirsi accolto. Ho imparato che, oltre l’angoscia di un numero che ti giudica e sembra dirti quanto vali, sul mio piatto sento e accolgo le tue fragilità, le tue risorse. Con il mio led, sento che l’unico vero ago della bilancia può essere dentro di te. E tu lo senti?

1 commento

  1. Roberta

    Io l’ho fatta sparire da anni…non so quanto peso…solo l’idea di salirci mi mette l’ansia…

    Rispondi

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

×